Ha pubblicato il suo primo racconto Waldo nel 1967. Dopo aver terminato l'università ha vissuto 5 anni in Africa, luogo che ha ispirato i suoi successivi lavori: Fong and the Indians, Girls at play e Jungle lovers. Nel continente africano insegna e prende parte a missioni umanitarie.
Ha successivamente insegnato all'Università di Singapore prima di stabilirsi in Inghilterra. Paul si è sposato due volte: con Anne Castle dal 1967 al 1993 e successivamente con Sheila Donnelly (dal 18 novembre 1995). Attualmente vive alle Hawaii.
Il suo romanzo più conosciuto è sicuramente The Great Railway Bazaar - by train through Asia, pubblicato nel 1975.
In Italia i suoi libri sono stati pubblicati da Baldini Castoldi Dalai (Hotel Honolulu, Ultimo treno della Patagonia, O-Zone, Gallo di Ferro. In treno attraverso la Cina, Mosquito Coast, Dark Star Safari), Mondadori (Costa delle zanzare) e Frassinelli (Da costa a costa).
Ha collaborato altresì con settimanali e mensili, quali Playboy, Esquire e Atlantic Monthly.
Dal primo matrimonio ha avuto due figli Marcel Theroux e Louis Theroux, entrambi scrittori e presentatori televisivi, ed è lo zio dell'attore Justin Theroux.
La Patagonia rappresentava anche la strada per tornare a casa.
Avevo disdetto diverse prenotazioni di treni per poter trascorrere più tempo con Borges, ma ora smisi di procrastinare la partenza e feci dei chiari progetti per dirigermi a sud. Avevo ancora qualche giorno a disposizione prima di lasciare Buenos Aires ma, essendo escluso dall'atmosfera d'intimità della lunga vacanza pasquale, potevo solo girare per la città. Ora mi deprimevo.
La malinconia che i nativi avevano temporaneamente disperso rientrò nella mia anima. Era in parte l'effetto de La Boca, il quartiere italiano vicino al porto; c'erano dei ragazzi che nuotavano nelle acque del porto oleose e maleodoranti, e vidi più artificio che fascino nelle case e nei ristoranti in stile siciliano; un po' era squallore affettato, il resto era vero sudiciume.
Andai al cimitero Chacarita, perché sembrava che dovessero farlo tutti. Trovai la tomba di Perón e vidi delle donne che baciavano il suo bronzeo viso infido e dei garofani sistemati dietro la maniglia della porta del mausoleo («Fanatici!» esclamò un uomo che stava vicino a me. «È come il calcio», sussurrò sua moglie).
Una notte, andando in macchina verso la periferia con Rolando, fummo fermati da un poliziotto in motocicletta che ci fece cenno di accostarci al lato della strada. Fu Rolando a parlare. Il poliziotto diceva che eravamo passati col rosso. Rolando insisteva che il semaforo era verde. Alla fine il poliziotto gli diede ragione: il semaforo era verde. «Ma è la vostra parola contro la mia», disse con una voce leggermente intimidatoria. «Volete rimanere qui tutta la notte o volete sistemare la cosa ora?» Rolando gli diede il valore di circa sette dollari in pesos. Il poliziotto ci salutò e ci augurò buona Pasqua.
«Me ne vado», dissi a Rolando.
«Non ti piace Buenos Aires?»
«Sì che mi piace», risposi. «Ma voglio andarmene prima di dover cambiare idea.»
Ci volle un'ora perché l'espresso dei Laghi del Sud si districasse dalla città. Eravamo partiti alle cinque di un pomeriggio soleggiato, ma quando iniziammo a prendere velocità in mezzo alla pampa, un fresco, immenso pascolo, stava facendo già buio. Poi il riverbero del tramonto sparì e nel crepuscolo l'erba si fece grigia, gli alberi divennero neri; al cune vacche erano così immobili da sembrare macigni e in un campo ne risaltavano cinque, bianche, luminose come panni stesi.
Percorrevamo la ferrovia General Roca, che era stata recentemente bombardata; era una linea facile da bombardare. Correva attraverso le province de La Pampa e Rio Negro, poi lungo una prateria vuota e deserta e il grande altopiano della Patagonia. Non ci voleva una grande abilità a far saltare in aria i treni in questi luoghi scarsamente abitati, Chiunque poteva fare il terrorista qui. Ma l'addetto alla carrozza letti mi disse che non c'era nulla di cui preoccuparsi. Per qualche ragione, i terroristi preferivano i treni merci, forse così si riusciva a fare più danni; e questo era un treno solo per passeggeri. «Si rilassi», disse. «Si metta a suo agio. Lasci a noi le preoccupazioni, fanno parte del nostro lavoro.
La carrozza letti aveva una forma insolita. Era vecchia e di legno i pannelli di legno degli interni erano di mogano scuro, molto lunga, e nel mezzo c'era una saletta, una specie di sala con sedie imbottite e tavoli da gioco. I passeggeri, per la maggior parte piuttosto anziani, si riunivano a parlare del freddo. Io avevo un biglietto di prima classe. Rimanevo nel mio scompartimento, scrivevo di Buenos Aires e di Borges.
La prima sera, a cena - vino, due insalate, la bistecca d'ordine- era seduto al mio tavolo un tipo in uniforme militare. Univamo i commensali nella carrozza ristorante, e per risparmiare al cameriere di correre per tutta la carrozza per servirci ci eravamo messi insieme. Gli chiesi dove stesse andando.
«A Comodoro Rivadavia», disse, «un brutto posto.»
«Quindi anche lei sta andando in Patagonia.»
«Non ho altra scelta», disse, dando uno strattone all'uniforme militare di leva.»
«Deve fare il militare per forza?»
«Tutti lo devono fare, per un anno.»
«Potrebbe andare peggio», dissi. «Non siete in guerra.» «Non c'è una guerra, ma c'è un problema con il Cile, sul Canale di Beagle. Proprio quest'anno! E un brutto anno per fare il servizio militare. Potrei essere costretto a combattere.»
«Capisco. Non vuole combattere contro i cileni?» «Non voglio combattere contro nessuno. Voglio rimanere a Buenos Aires. Che cosa ne pensa? Bella, eh? Belle ragazze, vero?» «Che esercito ha il Cile?»
«Non un granché, non molto grande. Ma la marina cilena è grande, hanno navi, barche, cannoni, tutto. Non sono preoccupato per l'esercito, è la marina che mi spaventa. Dove sta andando lei?» «Esquel», dissi. Fece un grugnito. «Perche?» «Ci va il treno.»
«Il treno va anche a Bariloche. Là dovrebbe andare. Montagne, laghi, neve, belle case. È come la Svizzera o l'Austria.» «In Svizzera e in Austria ci sono già stato.» «La neve è fantastica.»
«Sono venuto in Sud America per sfuggire alla neve. Nel posto da dove vengo era alta tre metri.»
«Quel che intendo dire è che Esquel è appena graziosa, e Bariloche è fantastica.»
«Forse seguirò il suo consiglio e andrò a Bariloche, dopo Esquel.» «Dimentichi Esquel e tutta la Patagonia, sono brutte. Glielo dico io, è meglio stare a Buenos Aires.»
Quindi persino qui, ormai a breve distanza dalla cittadina che avevo segnato sulla mia mappa a Boston, stavano cercando di scoraggiarmi.
Sentendo il gracidare delle rane quella notte, mi sporsi dal finestrino e vidi le lucciole. Dormii male, il vino mi diede l'insonnia (era questa la ragione per cui gli argentini lo diluivano sempre con l'acqua?), ma lui confortato dal grande disco arancione della luna. Verso l'alba cominciai ad assopirmi; mentre passavamo da Bahia Bianca, che avrei volito vedere, stavo dormendo, e non mi svegliai finché non iniziammo a incrociare il rio Colorado.
Alcune persone lo considerano la frontiera con la Patagonia, e in verità non c'era niente da vedere dopo che raggiungemmo l'altra riva. Il nulla, mi avevano detto, era la caratteristica prevalente della Patagonia. Ma la prateria si frappose, e con essa l'erba, il bestiame, il ciclo. E faceva fresco. Le città erano piccole, grappoli di fattorie dal tetto piatto che si rimpicciolivano fino a diventare macchioline, mentre il treno procedeva.
Appena dopo le undici, quella mattina, arrivammo alla città di Carmen de Patagones, sulla riva settentrionale del Rio Negro. Dall'altra parte del ponte c'era Viedma. Fu questo fiume che considerai la vera linea divisoria fra la parte fertile dell'Argentina e il polveroso altopiano della Patagonia.
Hudson inizia il suo libro sulla Patagonia con una descrizione di quella valle fluviale. L'imprecisione del suo nome ricordava tutti i paesaggi mal nominati che avevo visto in Messico. «Il fiume era chiamato impropriamente dagli aborigeni Cusareofù, o Fiume Nero -Rio Negro- dice Hudson, «a meno che l'epiteto non si riferisse solamente alla sua rapidità e al suo carattere pericoloso; perché non è affatto nero.... L'aqua, che scorre dalle Ande attraversando un continente pietroso ghiaioso, è meravigliosamente pura, di un color verde-mare chiaro.)» Rimanemmo sulla riva nord, in una stazione su una sponda alta. In un pannone una donna vendeva grandi quantità di mele dal colore rosso vivo, cinque alla volta.
Sembrava il tipo vivace d'imprenditrice che vedi nelle giornate d'autunno nelle città di campagna del Vermont. Ci raccolti in una crocchia, guance rosee, maglione marrone e non sante. Comprai alcune mele e le chiesi se erano cresciute proprio lì. E poi aggiunse, «Che bella è vero?»
C'era il sole, con un'ostinata brezza che scarmigliava i Lombardia. Ci fu un ritardo di circa un'ora, ma non mi fa effetto, più accumulavamo ritardo meglio era, poiché il mìo percorso prevedeva di scendere dal treno a Jacobacci alla spiacevole zero e trenta del mattino. La coincidenza per Esquel non partiva che all'1 del mattino, quindi non mi importava molto dell'ora in cui arrivasimo a Jacobacci.
Attraversammo il fiume; era largo solo pochi metri.
L'esperienza mi parve sorprendente, anche dopo così tante altre simili nel Sud America: sull'altra riva entrammo in una terra diversa. Il suolo era di sabbia e ghiaia, non c'era ombra, la terra era marrone. A Carmen de Patagones avevamo incontrato mandrie al pascolo e pioppi, e l'erba era verde. Ma non dopo Viedma non c'era più erba. C'erano boscaglia e polvere, e all'improvviso si alzarono all'orizzonte dei mulinelli di sabbia.
Mentre ero nella carrozza ristorante per il pranzo un venditore di oggetti in plastica, diretto all'insediamento gallese di Trelew, battè contrariato una mano contro il finestrino e disse: «Prima di arrivare a Jacobacci c'è ancora un sacco di questa roba».
All'inizio la si può scambiare per una zona fertile. All'orizzonte c'è una striscia di verde pieno, senza interruzioni, con protuberanze di cespugli. Alla media distanza è di un giallo verdeggiante, poi impallidisce in una zona con più protuberanze e chiazze di marrone. Da vicino, in primo piano, si scopre l'illusione: sono cespugli sparsi, piccoli e spinosi che creano l'illusione del verde; sono queste cose piccole, fragili e aride che coprono tutta la pianura. I cespugli spinosi spingono le loro radici nella polvere e gli altri cespugli, del colore dei licheni, hanno quasi l'aspetto di funghi. Non ci sono nemmeno erbacce sul terreno, solamente questi cespugli, che potrebbero benissimo essere morti. Gli uccelli volano troppo alti perché si capisca di che specie siano. Non ci sono insetti, non ci sono odori.
E questo era solo l'inizio della Patagonia. Stavamo ancora procedendo lungo la costa, intorno al Golfo di San Matias. Ci si rendeva difficilmente conto che il mare era molto vicino, ma a metà pomeriggio apparve ciò che inizialmente sembrava un lago, poi diventò più grande e più blu e infine si rivelò essere l'oceano Atlantico. La terra continuava ;. a essere coperta di boscaglia, le antiche onde d'acqua salata avevano re-li so il suolo più desolato, avvelenandolo.
Passavamo attraverso i villaggi; erano segnati come città sulla cartina, ma in realtà non erano degni di questa qualifica. Che cos'erano? Sei edifici piatti, battuti dalle intemperie, e tre di essi erano latrine; quattro liberi con ampio spiazzo in mezzo, un cane zoppo, qualche pollo; il vento soffiava così forte che un paio di calzoni da donna sventolavano orizzantalmente su un filo da bucato. Talvolta, in mezzo del deserto, c'erano solo case solitarie costruite con blocchi di fango o mattoni polverosi. Era tutto un enigma; avevano la rigidità di certi disegni. Che cosa racchiudeva la palizzata con paletti di rami e bastoni? A che cosa sbarrava il passo? Comunque non aiutava a capire lo scopo di tali capanne.
Arrivammo a San Antonio Oeste, una cittadina sulle acque blu del golfo di San Matias, con l'aspetto di un'oasi. Circa quaranta persone scesero dal treno, perché prendevano la corriera per raggiungere le città che si trovavano più in basso sulla costa della Patagonia, Comodoro e Puerto Madryn. Vedendo che eravamo fermi, scesi e passeggiai su e giù.
Il cameriere si sporse dal finestrino della carrozza ristorante.
«Dove è diretto?» «A Esquel.» «No!»
«Passando da Jacobacci.»
«No! Quel treno è grande così!» E fece un gesto con le dita per indicare una cosa piccolissima.
Negli Stati Uniti e in Messico avevo evitato di dire alle persone dove stavo andando, non pensavo che ci avrebbero creduto. Poi, in Sud America, avevo menzionato la Patagonia: la notizia veniva recepita con cortesia. Ma qui, più mi avvicinavo a Esquel, più distante poteva sembrare, e ora mi sembrava più lontana che mai. Capii il senso delle U ro reazioni: nessuno finiva un viaggio in un posto del genere, Ksquel ff un posto dove i viaggi iniziavano. Ma sapevo che non volevo scrivcfG i una permanenza in un posto, per farlo ci voleva l'abilità ili un mini?" rista. Ero più interessato all'andare e al tornare, alla poesia delle • tenze. Ero arrivato qui salendo su un treno metropolitano pieno di | dolari di Boston, che avevano lasciato me e il treno ed ciano une1'" lavoro. Ero rimasto su quel treno e ora ero a San Antonio. Stare in quella stazione era una noia
Continuammo verso sud ovest, verso la provincia di Chubut (il paesaggio non era più verde, nemmeno in quel suo modoparticolare. C'erano mezzi toni di marrone e grigio e i bassi e brulli con meno foglie. Tra questi si vedevano piante più rigide, dure, a forma di ventaglio come i coralli. I viaggiatori in Patagonia citano gli uccelli - Hudson va avanti per pagine e pagine parlando dei canti degli uccelli nel deserto - ma in tutto il pomeriggio non vidi niente se non rondini gigantesche e un falco. Avrebbero dovuto esserci struzzi, fenicotteri e aironi bianchi, ma quando borbottai tra me e me che non ne vedevo nemmeno uno, mi ricordai di Thornberry in Costa Rica («Dove sono i pappagalli e le scimmie?») e smisi di cercarli.
Era straordinario quanto fosse vuoto questo posto. Borges lo aveva chiamato tetro, ma non lo era. Era al malapena qualcosa. Non c'era abbastanza sostanza in esso perché comunicasse una sensazione. Un deserto è una tela vuota; sei tu a dargli caratteristiche e sensazioni, sei tu a lavorare per creare il miraggio e farlo vivere. Ma io ero indifferente; il deserto era deserto, vuoto quanto me in quel momento. Della polvere fine entrava dal finestrino e fluttuava nel corridoio, accumulandosi nella saletta al centro della carrozza letti.
C'erano degli uomini nella saletta, ma quelli vicino alla parete della carrozza erano resi quasi invisibili dalla polvere, ed erano a circa due metri da me. La polvere non mi aveva mai dato molto fastidio, ma questa la trovai difficile da sopportare. Si infiltrava attraverso gli stipiti delle porte e le crepe nell'intelaiatura dei finestrini e si sollevava nella carrozza.
Ci furono delle sorprese. Avevo già rinunciato a ogni speranza di vedere una pianta qualsiasi che crescesse in Patagonia quando, nella città di Valcheta, vidi dei pioppi che circondavano un vigneto - un vigneto qui nella terra desolata; e alberi di mele. Il fiumiciattolo di Val-cheta spiegava il miracolo - scorreva da sud, dal tavolato vulcanico dell'altopiano. Valcheta era un villaggio, ed era chiaro che anche i villaggi più a est erano nati presso quel fiume. Erano stati fondati dove si potevano scavare dei pozzi.
Ero sceso dal treno a ogni fermata, semplicemente per poter prendere una boccata d'aria. Ma mentre il giorno si consumava, faceva sempre più fresco, e ora faceva quasi freddo. I passeggeri fecero dei commenti sul freddo; erano abituati all'aria pesante di Buenos Aires. Rimanevano ben coperti nel salottino polveroso, alcuni con dei fazzoletti sulla bocca, chiacchierando.
«Com'è il tempo a Bariloche?»
«Piovoso - molto piovoso.»
«Oh, signore, non dice la verità! Lei è cattivo!»
«E va bene, fa bel tempo.»
«Lo so. Bariloche è graziosa. E saremo là martedì mattina!» Avevano delle macchine fotografiche. Quasi mi misi a ridere rumorosamente all'idea che qualcuno si portasse dietro una macchina fotografica per via delle vedute. Che idea! Quando si vedeva qualcosa di insolito nel paesaggio, ci si rendeva conto che era un ammasso di fango, cui la brezza aveva dato una forma. Il sole verso le sette era luminoso e basso, e per pochi minuti i miseri, striminziti cespugli spinosi, illuminati in modo stupendo, gettarono lunghe ombre sul deserto. In lontananza si vedevano scavi ed eruzioni e il paesaggio divenne familiare. Era il paesaggio marrone ed eroso che si vede nelle illustrazioni sul retro del le bibbie scolastiche. «Palestina», dice la didascalia, o «La Terra Santa», e si vedono polvere, cespugli sbiancati, ciclo blu, ghiaia.
A cena quella sera fui raggiunto da una giovane coppia che era re centemente stata in Brasile. Venivano da Buenos Aires e immaginai che fossero in viaggio di nozze. Era il tramonto, il ciclo di un blu luminoso, la luna di un giallo luminoso, il paesaggio nero; ed eravamo appena ar rivati alla stazione spazzata dal vento di Ministero Ramos Mexia, clic non era segnata sulla cartina. La donna stava parlando: in Brasile ttl mangiavano colazioni abbondanti, c'era un sacco di gente nera, era lutto così caro. Fuori dal finestrino, sulla banchina di Ministero, i ragazzi vendevano noccioline e uva.
Il sole se n'era andato. All'improvviso si fece freddo, tutto divenni molto scuro, e le persone vicine al treno si avviarono verso le luci appese ai pali della stazione. Si spostavano dall'oscurità e si riuniavano vicino alla luce come falene.
La nostra polverosa carrozza ristorante sembrava lussuosa a pi gone di quella remota stazione. La giovane coppia - un momento pfll aveva parlato della povertà in Brasile - si imbarazzò.
Di fuori, un ragazzo cantava: «Uva! Uva! Uva!» sollevando il collo verso il finestrino.
«Sono così poveri, qui», disse la signora. Il cameriere ci aveva appena servito bistecche, ma nessuno di noi aveva iniziato a manciare-
«Sono dei dimenticati», disse il marito.
La gente sulla banchina della stazione stava ridendo e iiu qualcosa. Per un momento, pensai che avessero indovinato. Noi attaccammo le nostre bistecche.
Quando la coppia tornò al suo scompartimento, il capotreno chiese se poteva sedersi. «Naturalmente», risposi,e gli versai un bicchiere di vino.
«Volevo chiederle», disse. «Da chi ha avuto il suo biglietto gratuito?».
Risposi: «Da un certo generale».
Non approfondì l'argomento. «L'Argentina è cara, vero? Indovini quanto guadagno.»
Un uomo di Buenos Aires mi aveva detto che lo stipendio medio in Argentina era di circa 50 dòllari al mese. Sembrava piuttosto basso, ma qui avevo la possibilità di verificare l'informazione. Tradussi 50 dollari in pesos e dissi che pensavo che guadagnasse quella somma.
«Meno», disse il capotreno. «Molto meno.» Disse che guadagnava circa 40 dollari al mese. «Quanto guadagnano negli Stati Uniti?»
Non ebbi il cuore di dirgli la verità. Decisi di alleggerire il colpo dicendo che un capotreno guadagnava circa 50 dollari la settimana.
«Lo pensavo», disse. «Vede? Molto più di noi.»
«Ma il cibo è caro negli Stati Uniti», dissi. «Qui invece è a buon prezzo.»
«Un po' meno costoso. Ma qualsiasi altra cosa è cara. Vuoi dei vestiti? Vuoi delle scarpe? Sono care. Si potrebbe pensare che solo l'Argentina sia così. Ma no, lo è tutto il Sud America. Ci sono paesi che sono ancora peggio di noi.»
Si versò un altro bicchiere del mio vino, vi mischiò un po' di soda e mormorò: Quando la gente verrà a vedere la Coppa del Mondo a luglio rimarrà molto sorpresa. Come lei, eh? «Che meravigliosa città civile, è questa!» Diranno così, poi vedranno quanto è caro e vorranno tornarsene a casa!
«Le interessa il calcio?» chiesi.
«No», sbottò. Poi riflette un momento e disse molto lentamente, | «No. Odio il calcio. Non so esattamente il perché. In questo senso, so-! no una persona insolita. La maggior parte della gente va matta per il cal-j ciò. Ma vuole sapere che cosa mi infastidisce veramente?»
«Sì, prego.»
«È troppo sporco. È sleale. Guardi una partita di calcio e capirà. Si danno dei calci negli stinchi l'un con l'altro. Gli arbitri se ne fregano. Calci, calci; pugni, pugni. È stupido. È scorretto. La gente ama questo gioco per la sua violenza. Ama vedere la lotta, le caviglie che sanguinano. Tracannò il vino. "A me? A me piace vedere l'abilità. Il tennis è uno sport pulito e sicuro, anche il basket è molto buono. Né lotte, né calci. L'arbitro segna i falli, tre infrazioni e si è fuori."»
Continuammo a parlare. Mi disse che lavorava nelle ferrovie da trentadue anni.
«E stato in Patagonia?» chiesi.
«Questa è la Patagonia.» Battè sul finestrino. Era buio fuori, ma hi polvere si riversava dalla fessura tra il davanzale e l'intelaiatura. Forse aveva voluto indicare quella polvere.
«Presumo che abbia lavorato per gli inglesi, allora.» «Ah, gli inglesi! Mi piacevano, anche se io sono tedesco.» «Lei è tedesco?» «Certo.»
Stava parlando al modo degli americani. Siamo inglesi, dicono al cuni cittadini di Charlottesville, in Virginia, riferendosi al fatto che i loro antenati abbandonarono le città minerarie sporche di fuliggine dello Yorkshire e fecero abbastanza soldi, allevando maiali, da mimettizarsi a piccola nobiltà e tenere fuori gli ebrei dai club di calcio. Al mio liceo, un ragazzo spiegò che era bravo in algebra perché era
albanese.
Un po' di questa cruda incertezza, era evidente anche in Argentina. Il capotreno argentino mi disse suo cognome. Era tedesco. «Senta», disse, «il mio primo nomie è Otto. Naturalmente non parlava tedesco.
Il signor D'Angelo e i suoi figli dalle larghe facce nella carrozza ristorante non parlavano italiano, signor Kovacs, il bigliettaio, non parlava ungherese. L'unico straniero che incontrai in Argentina con le radici intatte era un armeno.
L'avevo soprannominato fra me e me il signor Totalitario, perche credi dittatori. Aveva trovato una sua forma di contatto con le dite. Usava un camiciotto da lavoro e un berretto blu e leggeva nel suo quotidiano armeno, pubblicato a Buenos Aires. Avea arrivato dall' l'Armenia sessant'anni prima.
Il capotreno, di nome Otto, disse: «Scende a Jacobacci?»
«Sì. A che ora arriviamo?»
«Alle due circa, domani mattina.»
«Che cosa posso fare a Jacobacci?»
«Aspettare», disse. «Il treno per Esquel non parte fino alle cinque e mezza.»
«Lei lo ha preso, vero?»
L'espressione di Otto diceva: Sta scherzando! Ma aveva un cuore tenero ed ebbe la presenza di spirito di dire: «No, non ci sono carrozze letto su quel treno». Pensò un momento, sorseggiando il vino. «Non c'è molto su quel treno, sa. E piccolo.»
Usò il diminutivo alla spagnola: «E piccolo piccolo. Ci mette molte ore. Ma vada pure a dormire. La sveglierò io quando arriviamo».
Bevve l'ultimo sorso del suo vino e acqua di soda. Fece tintinnare i cubetti di ghiaccio nel suo bicchiere e li inghiottì. Poi si alzò e guardò fuori dal finestrino nero la vera Patagonia e la luna gialla che, essendo deformata dal vetro, era un esempio perfetto di luna gibbosa. Masticò il ghiaccio facendolo scricchiolare contro i molari. Quando non riuscii più a sopportare quel suono andai a letto.Perfino in Patagonia ci sono poche cose più corrosive per lo spirito umano di qualcuno in piedi dietro di te a masticare cubetti di ghiaccio.
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