Avevo ancora qualche giorno a disposizione prima di lasciare Buenos Aires ma, essendo escluso dall'atmosfera d'intimità della lunga vacanza pasquale, potevo solo girare per la città. Ora mi deprimevo. La malinconia che i nativi avevano temporaneamente disperso rientrò nella mia anima. Era in parte l'effetto de La Boca, il quartiere italiano vicino al porto; c'erano dei ragazzi che nuotavano nelle acque del porto oleose e maleodoranti, e vidi più artificio che fascino nelle case e nei ristoranti in stile siciliano; un po' era squallore affettato, il resto era vero sudiciume. Andai al cimitero Chacarita, perché sembrava che dovessero farlo tutti. Trovai la tomba di Perón e vidi delle donne che baciavano il suo bronzeo viso infido e dei garofani sistemati dietro la maniglia della porta del mausoleo («Fanatici!» esclamò un uomo che stava vicino a me. «È come il calcio», sussurrò sua moglie). Una notte, andando in macchina verso la periferia con Rolando, fummo fermati da un poliziotto in motocicletta che ci fece cenno di accostarci al lato della strada. Fu Rolando a parlare. Il poliziotto diceva che eravamo passati col rosso.
Rolando insisteva che il semaforo era verde. Alla fine il poliziotto gli diede ragione: il semaforo era verde. «Ma è la vostra parola contro la mia», disse con una voce leggermente intimidatoria. «Volete rimanere qui tutta la notte o volete sistemare la cosa ora?» Rolando gli diede il valore di circa sette dollari in pesos. Il poliziotto ci salutò e ci augurò buona Pasqua.
«Me ne vado», dissi a Rolando.
«Non ti piace Buenos Aires?»
«Sì che mi piace», risposi. «Ma voglio andarmene prima di dover cambiare idea.»
Ci volle un'ora perché l'espresso dei Laghi del Sud si districasse dalla città. Eravamo partiti alle cinque di un pomeriggio soleggiato, ma quando iniziammo a prendere velocità in mezzo alla pampa, un fresco, immenso pascolo, stava facendo già buio. Poi il riverbero del tramonto sparì e nel crepuscolo l'erba si fece grigia, gli alberi divennero neri; al cune vacche erano così immobili da sembrare macigni e in un campo ne risaltavano cinque, bianche, luminose come panni stesi.
Percorrevamo la ferrovia General Roca, che era stata recentemente bombardata; era una linea facile da bombardare. Correva attraverso le province de La Pampa e Rio Negro, poi lungo una prateria vuota e deserta e il grande altopiano della Patagonia. Non ci voleva una grande abilità a far saltare in aria i treni in questi luoghi scarsamente abitati, Chiunque poteva fare il terrorista qui. Ma l'addetto alla carrozza letti rnj, disse che non c'era nulla di cui preoccuparsi. Per qualche ragione, i lcf« roristi preferivano i treni merci, forse così si riusciva a fare più danni; i" questo era un treno solo per passeggeri. «Si rilassi», disse. «Si meltfl suo agio. Lasci a noi le preoccupazioni, fanno parte del nostro lavorco.
La carrozza letti aveva una forma insolita. Era vecchia e di legno, i pannelli di legno degli interni erano di mogano scuro, molto lunga, e nel mezzo c'era una saletta, con sedie imbottite e tavoli da gioco. I passeggeri, per la maggior piuttosto anziani, si riunivano a parlare del freddo che fa in quelle parti. Io avevo un biglietto di prima classe. Rimanevo nel mio scompartimento, scrivevo di Buenos Aires e di Borges.La prima sera, a cena - vino, due insalate, la bistecca d'ordini era seduto al mio tavolo un tipo in uniforme militare. Univamo i commensali nella carrozza ristorante, e per risparmiare al cimivi correre per tutta la carrozza per servirci ci eravamo messi un soldato, era giovane. Gli chiesi dove stesse andando.
«A Comodoro Rivadavia», disse, «un brutto posto.»
«Quindi anche lei sta andando in Patagonia.»
«Non ho altra scelta», disse, dando uno strattone all'unilopf no militare di leva.»
«Deve fare il militare per forza?»
«Tutti lo devono fare, per un anno.»
«Potrebbe andare peggio», dissi. «Non siete in guerra.» «Non c'è una guerra, ma c'è un problema con il Cile, sul Canale di Beagle. Proprio quest'anno! E un brutto anno per fare il servizio militare. Potrei essere costretto a combattere.»
«Capisco. Non vuole combattere contro i cileni?» «Non voglio combattere contro nessuno. Voglio rimanere a Buenos Aires. Che cosa ne pensa? Bella, eh? Belle ragazze, vero?» «Che esercito ha il Cile?»
«Non un granché, non molto grande. Ma la marina cilena è grande, hanno navi, barche, cannoni, tutto. Non sono preoccupato per l'esercito, è la marina che mi spaventa. Dove sta andando lei?» «Esquel», dissi. Fece un grugnito. «Perche?» «Ci va il treno.»
«Il treno va anche a Barilochc. Là dovrebbe andare. Montagne, laghi, neve, belle case. È come la Svizzera o l'Austria.» «In Svizzera e in Austria ci sono già stato.» «La neve è fantastica.»
«Sono venuto in Sud America per sfuggire alla neve. Nel posto da dove vengo era alta tre metri.»
«Quel che intendo dire è che Esquel è appena graziosa, e Bariloche è fantastica.»
«Forse seguirò il suo consiglio e andrò a Bariloche, dopo Esquel.» «Dimentichi Esquel e tutta la Patagonia, sono brutte. Glielo dico
io, è meglio stare a Buenos Aires.»
Quindi persino qui, ormai a breve distanza dalla cittadina che
avevo segnato sulla mia mappa a Boston, stavano cercando di scorag-|giarmi.
Sentendo il gracidare delle rane quella notte, mi sporsi dal finestrino e vidi le lucciole. Dormii male, il vino mi diede l'insonnia (era quelita la ragione per cui gli argentini lo diluivano sempre con l'acqua?), ma lui confortato dal grande disco arancione della luna. Verso l'alba co-Ittinciai ad assopirmi; mentre passavamo da Bahia Bianca, che avrei volito vedere, stavo dormendo, e non mi svegliai finché non iniziammo a ncrociare il rio Colorado. Alcune persone lo considerano la frontiera on la Patagonia, e in verità non c'era niente da vedere dopo che raggiungemmo l'altra riva. Il nulla, mi avevano detto, era la caratteristica prevalente della Patagonia. Ma la prateria si frappose, e con essa l'erba, il bestiame, il ciclo. E faceva fresco. Le città erano piccole, grappoli di fattorie dal tetto piatto che si rimpicciolivano fino a diventare macchio-line, mentre il treno procedeva.
Appena dopo le undici, quella mattina, arrivammo alla città di Car men de Patagones, sulla riva settentrionale del Rio Negro. Dall'ai trii parte del ponte c'era Viedma. Fu questo fiume che considerai la vera li nea divisoria fra la parte fertile dell'Argentina e il polveroso altopiano della Patagonia. Hudson inizia il suo libro sulla Patagonia con una desscrizione di quella valle fluviale. L'imprecisione del suo nome ricordava tutti i paesaggi mal nominati che avevo visto in Messico. «Il fiume era chiamato impropriamente dagli aborigeni Cusar-leofù, o Fiume Negro(dice Hudson, a meno che l'epiteto non si riferisse solamente alla sua rapidità e al suo carattere pericoloso; perché non è affatto nero ... L'acqua, che scorre dalle Ande attraversando un continente pietroso! ghiaioso, è meravigliosamente pura, di un color verde-mare chiaro.»
Rimanemmo sulla riva nord, in una stazione su una sponda alta. In uni pannone una donna vendeva grandi quantità di mele dal colore rolIQj vo, cinque alla volta. Sembrava il tipo vivace d'imprenditrice che I de nelle giornate d'autunno nelle città di campagna del Vermont! CI raccolti in una crocchia, guance rosee, maglione marrone e non sante. Comprai alcune mele e le chiesi se fossero della l'atan se, erano cresciute proprio lì. E poi aggiunse, «Che bella è vero?»
C'era il sole, con un'ostinata brezza. Ci fu un ritardo di circa un'ora, ma non mi fece effetti, più accumulavamo ritardo meglio era, poiché il mìo percorso prevedeva di scendere dal treno a Jacobacci alla spiacevole 0 e trenta del mattino. La coincidenza per Esquel non partiva del mattino, quindi non mi importava molto dell'ora in cui arrivasi a Jacobacci.
L'esperienza mi parve sorprendente, anche dopo così tante altre simili nel Sud America: sull'altra riva entrammo in una terra diversa. Il suolo era di sabbia e ghiaia, non c'era ombra, la terra era marrone. A Carmen de Patagones avevamo incontrato mandrie al pascolo e pioppi, e l'erba era verde. Ma non dopo Viedma non c'era più erba. C'erano boscaglia e polvere, e all'improvviso si alzarono all'orizzonte dei mulinelli di sabbia.
Mentre ero nella carrozza ristorante per il pranzo un venditore di oggetti in plastica, diretto all'insediamento gallese di Trelew, battè contrariato una mano contro il finestrino e disse: «Prima di arrivare a Jacobacci c'è ancora un sacco di questa roba».
All'inizio la si può scambiare per una zona fertile. All'orizzonte c'è una striscia di verde pieno, senza interruzioni, con protuberanze di cespugli. Alla media distanza è di un giallo verdeggiante, poi impallidisce in una zona con più protuberanze e chiazze di marrone. Da vicino, in primo piano, si scopre l'illusione: sono cespugli sparsi, piccoli e spinosi che creano l'illusione del verde; sono queste cose piccole, fragili e aride che coprono tutta la pianura. I cespugli spinosi spingono le loro radici nella polvere e gli altri cespugli, del colore dei licheni, hanno quasi l'aspetto di funghi. Non ci sono nemmeno erbacce sul terreno, solamente questi cespugli, che potrebbero benissimo essere morti. Gli uccelli volano troppo alti perché si capisca di che specie siano. Non ci sono insetti, non ci sono odori.
Passavamo attraverso i villaggi; erano segnati come città sulla cartina, ma in realtà non erano degni di questa qualifica. Che cos'erano? Sei edifici piatti, battuti dalle intemperie, e tre di essi erano latrine; quattro liberi con ampio spiazzo in mezzo, un cane zoppo, qualche pollo; il ven-i soffiava così forte che un paio di calzoni da donna sventolavano oriz-antalmente su un filo da bucato. Talvolta, in mezzo del deserto, c'era-SO case solitàrie costruite con blocchi di fango o mattoni polverosi. Era-tlo un enigma; avevano la rigidità di certi disegni. Che cosa racchiudeva la palizzata con paletti di rami e bastoni? A che cosa sbarrava il passo? Comunque non aiutava a capire lo scopo di tali capanne.
Arrivammo a San Antonio Oeste, una cittadina sulle acque blu del golfo di San Matias, con l'aspetto di un'oasi. Circa quaranta persone scesero dal treno, perché prendevano la corriera per raggiungere le città che si trovavano più in basso sulla costa della Patagonia, Comodoro e Puerto Madryn. Vedendo che eravamo fermi, scesi e passeggiai su e giù nel vento.
Il cameriere si sporse dal finestrino della carrozza ristorante.
«Dove è diretto?» «A Esquel.» «No!»
«Passando da Jacobacci.»
«No! Quel treno è grande così!» E fece un gesto con le dita per indicare una cosa piccolissima.
Negli Stati Uniti e in Messico avevo evitato di dire alle persone dove stavo andando, non pensavo che ci avrebbero creduto. Poi, in Sud America, avevo menzionato la Patagonia: la notizia veniva recepita con cortesia. Ma qui, più mi avvicinavo a Esquel, più distante la lacevtuv*" sembrare, e ora mi sembrava più lontana che mai. Capii il senso delle U ro reazioni: nessuno finiva un viaggio in un posto del genere, Ksquel ff un posto dove i viaggi iniziavano. Ma sapevo che non volevo scrivcfG i una permanenza in un posto, per farlo ci voleva l'abilità ili un mini?" rista. Ero più interessato all'andare e al tornare, alla poesia delle • tenze. Ero arrivato qui salendo su un treno metropolitano pieno di | dolari di Boston, che avevano lasciato me e il treno ed ciano une1'" lavoro. Ero rimasto su quel treno e ora ero a San Antonio ( )i provincia patagone del Rio Negro. Il viaggio era stato una si iddii ne, stare in quella stazione era una noia.
Era straordinario quanto fosse vuoto questo posto. Borges lo aveva chiamato tetro, ma non lo era. Era al malapena qualcosa. Non c'era abbastanza sostanza in esso perché comunicasse una sensazione. Un deserto è una tela vuota; sei tu a dargli caratteristiche e sensazioni, sei tu a lavorare per creare il miraggio e farlo vivere. Ma io ero indifferente; il deserto era deserto, vuoto quanto me in quel momento. Della polvere fine entrava dal finestrino e fluttuava nel corridoio, accumulandosi nella saletta al centro della carrozza letti. C'erano degli uomini nella saletta, ma quelli vicino alla parete della carrozza erano resi quasi invisibili dalla polvere, ed erano a circa due metri da me. La polvere non mi aveva mai dato molto fastidio, ma questa la trovai difficile da sopportare. Si infiltrava attraverso gli stipiti delle porte e le crepe nell'intelaiatura dei finestrini e si sollevava nella carrozza.
Ci furono delle sorprese. Avevo già rinunciato a ogni speranza di vedere una pianta qualsiasi che crescesse in Patagonia quando, nella città di Valcheta, vidi dei pioppi che circondavano un vigneto - un vigneto qui nella terra desolata; e alberi di mele. Il fiumiciattolo di Val-cheta spiegava il miracolo - scorreva da sud, dal tavolato vulcanico dell'altopiano. Valcheta era un villaggio, ed era chiaro che anche i villaggi più a est erano nati presso quel fiume. Erano stati fondati dove si potevano scavare dei pozzi.
Ero sceso dal treno a ogni fermata, semplicemente per poter prendere una boccata d'aria. Ma mentre il giorno si consumava, faceva sempre più fresco, e ora faceva quasi freddo. I passeggeri fecero dei commenti sul freddo; erano abituati all'aria pesante di Buenos Aires. Rimanevano ben coperti nel salottino polveroso, alcuni con dei fazzoletti sulla bocca, chiacchierando.
«Com'è il tempo a Bariloche?»
«Piovoso - molto piovoso.»
«Oh, signore, non dice la verità! Lei è cattivo!»
«E va bene, fa bel tempo.»
«Lo so. Bariloche è graziosa. E saremo là martedì mattina!» Avevano delle macchine fotografiche. Quasi mi misi a ridere rumorosamente all'idea che qualcuno si portasse dietro una macchina fotografica per via delle vedute. Che idea! Quando si vedeva qualcosa di insolito nel paesaggio, ci si rendeva conto che era un ammasso di fango, cui la brezza aveva dato una forma. Il sole verso le sette era luminoso e basso, e per pochi minuti i miseri, striminziti cespugli spinosi, illuminati in modo stupendo, gettarono lunghe ombre sul deserto. In lontananza si vedevano scavi ed eruzioni e il paesaggio divenne familiare. Era il paesaggio marrone ed eroso che si vede nelle illustrazioni sul retro del le bibbie scolastiche. «Palestina», dice la didascalia, o «La Terra Santa», e si vedono polvere, cespugli sbiancati, ciclo blu, ghiaia.
A cena quella sera fui raggiunto da una giovane coppia che era re centemente stata in Brasile. Venivano da Buenos Aires e immaginai che fossero in viaggio di nozze. Era il tramonto, il ciclo di un blu luminoso, la luna di un giallo luminoso, il paesaggio nero; ed eravamo appena ar rivati alla stazione spazzata dal vento di Ministero Ramos Mexia, clic non era segnata sulla cartina. La donna stava parlando: in Brasile ttl mangiavano colazioni abbondanti, c'era un sacco di gente nera, era lutto così caro. Fuori dal finestrino, sulla banchina di Ministero, ilei i'H« gazzi vendevano noccioline e uva.
Il sole se n'era andato. All'improvviso si fece freddo, tutto divenni molto scuro, e le persone vicine al treno si avviarono verso le luci Ifl* tense appese ai pali della stazione. Si spostavano dall'oscurità e si si ' "! mavano vicino alla luce come falene.
La nostra polverosa carrozza ristorante sembrava lussuosa a pi gone di quella remota stazione. La giovane coppia - un momento pfll aveva parlato della povertà in Brasile - si imbarazzò.
Di fuori, un ragazzo cantava: «Uva! Uva! Uva!» sollevando il C
no verso il finestrino.
«Sono così poveri, qui», disse la signora. Il cameriere ci nvrvi pena servito bistecche, ma nessuno di noi aveva iniziato a mancia?!
«Sono dei dimenticati», disse il marito.
La gente sulla banchina della stazione stava ridendo e iiu qualcosa. Per un momento, pensai che avessero indovinalo In lini! colpa, ma la gente di Ministero sembrava semplicemente allenii II tf no proseguì, e noi attaccammo le nostre bistecche.
Quando la coppia tornò al suo scompartimento, il capotreno chiese se poteva sedersi. «Naturalmente», risposi,e gli versai un bicchiere di vino.
«Volevo chiederle», disse. «Da chi ha avuto il suo biglietto gratuito?».
Risposi: «Da un certo generale».
Non approfondì l'argomento. «L'Argentina è cara, vero? Indovini quanto guadagno.»
Un uomo di Buenos Aires mi aveva detto che lo stipendio medio in Argentina era di circa 50 £ al mese. Sembrava piuttosto basso, ma qui avevo la possibilità di verificare l'informazione. Tradussi 50 £ in pesos e dissi che pensavo che guadagnasse quella somma.
«Meno», disse il capotreno. «Molto meno.» Disse che guadagnava circa 40 £ al mese. «Quanto guadagnano negli Stati Uniti?»
Non ebbi il cuore di dirgli la verità. Decisi di alleggerire il colpo dicendo che un capotreno guadagnava circa 50 £ la settimana.
«Lo pensavo», disse. «Vede? Molto più di noi.»
«Ma il cibo è caro negli Stati Uniti», dissi. «Qui invece è a buon prezzo.»
«Un po' meno costoso. Ma qualsiasi altra cosa è cara. Vuoi dei vestiti? Vuoi delle scarpe? Sono care. Si potrebbe pensare che solo l'Argentina sia così. Ma no, lo è tutto il Sud America. Ci sono paesi che sono ancora peggio di noi.»
Si versò un altro bicchiere del mio vino, vi mischiò un po' di soda e mormorò: Quando la gente verrà a vedere la Coppa del Mondo a luglio rimarrà molto sorpresa. Come lei, eh? «Che meravigliosa città civile, è questa!» Diranno così, poi vedranno quanto è caro e vorranno tornarsene a casa!
«Le interessa il calcio?» chiesi.
«No», sbottò. Poi riflette un momento e disse molto lentamente, | «No. Odio il calcio. Non so esattamente il perché. In questo senso, so-! no una persona insolita. La maggior parte della gente va matta per il cal-j ciò. Ma vuole sapere che cosa mi infastidisce veramente?»
«Sì, prego.»
«È troppo sporco. È sleale. Guardi una partita di calcio e capirà. Si danno dei calci negli stinchi l'un con l'altro. Gli arbitri se ne fregano. Calci, calci; pugni, pugni. È stupido. È scorretto. La gente ama questo gioco per la sua violenza. Ama vedere la lotta, le caviglie che sanguinano. Tracannò il vino. "A me? A me piace vedere l'abilità. Il tennis è uno sport pulito e sicuro, anche il basket è molto buono. Né lotte, né calci. L'arbitro segna i falli, tre infrazioni e si è fuori."»
Continuammo a parlare. Mi disse che lavorava nelle ferrovie da trentadue anni.
«E stato in Patagonia?» chiesi.
«Questa è la Patagonia.» Battè sul finestrino. Era buio fuori, ma hi polvere si riversava dalla fessura tra il davanzale e l'intelaiatura. Forse aveva voluto indicare quella polvere.
«Presumo che abbia lavorato per gli inglesi, allora.» «Ah, gli inglesi! Mi piacevano, anche se io sono tedesco.» «Lei è tedesco?» «Certo.»
Stava parlando al modo degli americani. Siamo inglesi, dicono al cuni cittadini di Charlottesville, in Virginia, riferendosi al fatto che i loro antenati abbandonarono le città minerarie sporche di fuliggine dello Yorkshire e fecero abbastanza soldi, allevando maiali, da ninni-zarsi a piccola nobiltà e tenere fuori gli ebrei dai club di caccili. A* mio liceo, un ragazzo spiegò che era bravo in algebra perché era albanese.
Un po' di questa cruda incertezza, questo maneggiare con i (> gree era evidente anche in Argentina. Il capotreno argentino mi dim suo cognome. Era tedesco. «Senta», disse, «il mio primo nomi' e ( Ht Naturalmente non parlava tedesco. Il signor D'Angelo e i suoi aifll gni dalle larghe facce nella carrozza ristorante non parlavano ilaliitnt signor Kovacs, il bigliettaio, non parlava ungherese. L'unico imrnip11 te che incontrai in Argentina con le radici intatte era un armi-nò, L* vo soprannominato fra me e me il signor Totalitario, perche credi dittatori. Aveva trovato una sua forma di contatto con le dillMtUf dossava un camiciotto da lavoro e un berretto blu e leggeva o^nl f il suo quotidiano armeno, pubblicato a Buenos Aires. AvevH ' l'Armenia sessant'anni prima.
Il capotreno, di nome Otto, disse: «Scende a Jacobnci ir1»
«Sì. A che ora arriviamo?»
«Alle due circa, domani mattina.»
«Che cosa posso fare a Jacobacci?»
«Aspettare», disse. «Il treno per Esquel non parte fino alle cinque e mezza.»
«Lei lo ha preso, vero?»
L'espressione di Otto diceva: Sta scherzando! Ma aveva un cuore tenero ed ebbe la presenza di spirito di dire: «No, non ci sono carrozze letto su quel treno». Pensò un momento, sorseggiando il vino. «Non c'è molto su quel treno, sa. E piccolo.» Usò il diminutivo alla spagnola: «E piccolo piccolo. Ci mette molte ore. Ma vada pure a dormire. La sve-glierò io quando arriviamo».
Bevve l'ultimo sorso del suo vino e acqua di soda. Fece tintinnare i cubetti di ghiaccio nel suo bicchiere e li inghiottì. Poi si alzò e guardò fuori dal finestrino nero la nera Patagonia e la luna gialla che, essendo deformata dal vetro, era un esempio perfetto di luna gibbosa. Masticò il ghiaccio facendolo scricchiolare contro i molari. Quando non riuscii più a sopportare quel suono andai a letto. Perfino in Patagonia ci sono poche cose più corrosive per lo spirito umano di qualcuno in piedi dietro di te a masticare cubetti di ghiaccio.
L'ultimo treno della Patagonia
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