Qualche mese dopo, al nostro terzo o quarto incontro, sempre in Spagna, gli dissi che anch’io mi sentivo assalire da quel “qualcosa di simile alla paura”, perché mentre camminavamo per strada le zingare ci evitavano.
Nessuna si avvicinava per leggerci la mano.
“O uno dei due puzza, o qualcuno ci ha fatto il malocchio e loro lo sanno," rispose Bruce minimizzando.
La maggior parte dei piccoli porti e dei villaggi dell’ Isola di Chiloé, furono fondati dai corsari, o per difendersi dai corsari, nel Cinquecento e nel Seicento. Corsari o idalghi, tutti erano costretti ad attraversare lo Stretto di Magellano e pertanto a passare da posti come Chonchi. Di quei tempi è rimasto il carattere funzionale degli edifici: tutti assolvono a due funzioni, benché sia solo una la principale.
I locali servono da bar e da ferramenta, da bar e da ufficio postale, da bar e da agenzia di cabotaggio, da bar e da farmacia, da bar e da onoranze funebri. Entro in uno che è bar e farmacia veterinaria, ma un cartello all’ingresso assicura che assolve a una terza funzione: "Si curano rogna e diarrea animale e umana".
Mi siedo a un tavolo accanto alla finestra. Ai tavoli vicini si disputano partite a truco, un gioco di carte che permette ogni sorta di ammicchi al compagno, purché fatti recitando versi rigorosamente rimati. Apro la “moleskine” e ordino del vino.
"Un vino o un vinello?” chiede il cameriere.
Sono nato in questo paese, solo un po’ più a nord. Appena duemila chilometri separano Chonchi dalla mia città natale, e forse è colpa della mia lunga permanenza lontano da questi confini se ho dimenticato certe importanti differenze. Senza pensarci ripeto che voglio bere del vino.
Poco dopo il cameriere ritorna portando qualcosa che può benissimo servire da vaso di fiori, e che contiene poco meno di un litro di vino.
Non conviene dimenticare i diminutivi nel sud del mondo.
Un buon vino. Un pipeño, un vino giovane, leggermente acido, aspro, agreste come la natura che mi aspetta oltre la porta. Si beve con piacere, e mentre sorseggio, si affaccia alla memoria una certa storia che Bruce amava ricordare, riguardo al modo così speciale che hanno gli isolani di spiegare i dettagli della vita.
Nel suo viaggio di ritorno dalla Patagonia con lo zaino pieno zeppo di “moleskine”, nelle quali aveva fissato la materia prima di quello che poi sarebbe divenuto In Patagonía, uno dei migliori libri di viaggio di tutti i tempi, Bruce passò da Cucao, nella zona occidentale dell’isola. Aveva una fame arretrata di vari giorni, e quindi desiderava mangiare, ma senza appesantire troppo lo stomaco.
"Per favore, vorrei qualcosa di leggero," spiegò al cameriere del ristorante in cui era entrato.
Gli servirono mezzo cosciotto di agnello alla brace, e quando reclamò ripetendo che voleva mangiare qualcosa di leggero, ricevette una di quelle risposte che non ammettono discussione.
"Era un agnello molto magro. Il signore non troverà una bestia più leggera in tutta l’isola.”
Gente curiosa, questa. E siccome Chiloé è l’anticamera della Patagonia, i suoi abitanti ci preparano a sopportare le belle e ingenue eccentricità di quelli che vivono più a sud. Un professore della parte argentina mi ha raccontato una storia insuperabile. Uno dei suoi alunni aveva scritto sull’orologio:
“L’orologio serve a pesare i ritardi. Anche l’orologio si guasta, e così, allo stesso modo in cui le auto perdono olio, l’orologio perde tempo”.
Chi ha parlato di morte del surrealismo?
Nel porto cresce il viavai. I grandi camion sono già a bordo e ora salgono i veicoli più piccoli. Tra poco chiameranno i passeggeri, non appena gli scaricatori avranno finito di trasportare le merci. Sono robusti gli isolani. Di bassa statura, le gambe corte ma salde, trottano carichi di pesanti sacchi di patate e di legumi, rotoli di stoffa, utensili da cucina, casse di sale, balle di erba mate, di tè e di zucchero, merci appartenenti a commercianti, in genere figli o nipoti di libanesi, che una volta sbarcati gireranno con le loro file di cavalli le fattorie e i gruppi di case sperduti fra le cordigliere, lungo i fiordi o nella pampa sterminata. Finisco il vino. Tutto quel movimento là fuori mi entra nel sangue e fa sì che tutto il corpo desideri partire.
Questo è un viaggio che iniziò molti anni fa, non importa quanti. Cominciò quel freddo giorno di febbraio, a Barcellona, seduto con Bruce a un tavolo del caffè Zurich. Ci tenevano compagnia due vecchi gringo, ma solo noi potevamo vederli. Eravamo in quattro al tavolo, per cui nessuno deve scandalizzarsi se ci scolammo due bottiglie di cognac.
Forse non riusciremo mai a sapere come organizzavano gli assalti alle banche quei due banditi, ma posso raccontare come andò che un inglese e un cileno abbastanza ubriachi, verso le cinque del pomeriggio, progettarono un viaggio ai confini del mondo.
"Quando partiamo, cileno?"
"Non appena me lo permettono, inglese."
"Hai dei problemi con i pezzi grossi che governano il tuo paese?"
"Io no. Sono loro che hanno dei problemi con me."
"Capisco. Non importa. Così potremo preparare meglio il viaggio.”
E continuarono a discutere di altri temi minori, come trovare la fattoria dove si suppone che furono decapitati Butch Cassidy e Sundance Kid, visitare la sepoltura dove si dice che riposino i due avventurieri, ricostruire gli ultimi giorni della loro vita, e con tutto ciò scrivere a quattro mani qualche centinaio di pagine sotto forma di saga o di romanzo.
Quando arrivò l’agognato permesso per tornare nel sud del mondo, Bruce Chatwin aveva già intrapreso un viaggio inevitabile, un lungo viaggio attraverso montagne e mari infiniti. Penso che quando comprò tutte le giacenze di "moleskine" in una vecchia cartoleria parigina di rue de L’Ancienne Comédie, l’unica che le vendesse, Bruce intendesse prepararsi inconsciamente al lungo viaggio finale.
L’odioso permesso per tornare nel mio mondo mi colse di sorpresa, ad Amburgo. Per nove anni, ogni lunedì, ero andato al consolato cileno per sapere se potevo tornare. Nove anni nel corso dei quali avevo ricevuto circa cinquecento volte la stessa risposta: No. Il suo nome è sulla lista di quelli che non possono tornare.
E all’improvviso, un lunedì di gennaio, il triste funzionario spezzò la sua routine e, al contempo, i miei schemi: Quando vuole. Può tornare quando vuole. Il suo nome è stato cancellato dalla lista.
Uscii dal consolato tremando. Passai lunghe ore seduto su una panchina davanti all’Alster, finché non ricordai che gli impegni presi con gli amici sono sacri, e decisi che sarei partito per la fine del mondo nei giorni successivi.
Finalmente stanno chiamando i passeggeri. Andiamo, Bruce, dannato inglese che viaggerà da clandestino, nascosto fra le pagine della “moleskine”. Domani sera saremo in Patagonia, sulle tracce dei due gringo che diedero il via a questa avventura, e né per loro né per i gaucho che hai conosciuto, sarà una sorpresa vederci arrivare, perché i patagoni, nella densa solitudine dei loro rancho, assicurano che "la morte inizia quando qualcuno accetta di essere morto”.
Hanno sciolto gli ormeggi del Colono, ma non hanno ancora finito di sollevare il ponte d’imbarco. Due membri dell’equipaggîo discutono con un vecchio pallido come un cencio, che insiste per trascinare a bordo una bara.
L’equipaggio sostiene che porta sfortuna. Il vecchio sostiene che ha diritto a cinquanta chili di carico.
I marinai minacciano di buttare la cassa fuori bordo. Il vecchio grida che ha il cancro, che è suo diritto aspirare a una morte decente, che lui è un signore. Alla fine interviene il capitano e arrivano a un accordo: lo porteranno con la cassa e tutto, ma lui si impegna a non morire durante il viaggio. Vedo il vecchio seduto sulla sua bara. Tutto è alimento per la “moleskine”.
La nave si muove, punta la prua verso la Baia di Corcovado. Tra poco sarà notte e sono contento di avere abbastanza sigarette, la borraccia piena di vigoroso vino pipeño, e lo stato d’animo giusto per far tesoro sul taccuino di tutto quello che vedo. Poi navigheremo nella notte australe verso la fine del mondo e, quando alla luce della Croce del sud brinderò all’eterna salute del dannato inglese che se l’è svignata per primo, forse il vento mi porterà l’eco dei cavalli, montati da due vecchi gringo, che galoppano sul profilo incerto del litorale, in una regione così vasta e colma di avventure che non può essere toccata dalla meschina frontiera che separa la vita dalla morte.
Trovato questo articolo interessante? Condividilo sulla tua rete di contatti Twitter, sulla tua bacheca su Facebook o semplicemente premi "+1" per suggerire questo risultato nelle ricerche in Google, Linkedin, Instagram o Pinterest. Diffondere contenuti che trovi rilevanti aiuta questo blog a crescere. Grazie! CONDIVIDI SU!
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
Bellissimo racconto!!! Aspetto le puntate successive.
RispondiElimina