Riflessioni, racconti, leggende e incontri che si intrecciano nel maestoso scenario del Sud del mondo, dove l’avventura non solo è ancora possibile, ma è la dimensione quotidiana del vivere.
Luis Sépulveda è nato in Cile nel 1949 e vive in Spagna, nelle Asturie. Guanda ha pubblicato: Il mondo alla fine del mondo, Un nome da torero, La frontiera scomparsa, Incontro d’amore in un paese in guerra, Diario di un killer sentimentale, Jacaré, Patagonia Express, Le rose di Atacama, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, Raccontare, resistere (con Bruno Arpaia), Il generale e il giudice, Una sporca storia, I peggiori racconti dei fratelli Grim (con Mario Delgado Aparaín), Il potere dei sogni, Cronache dal Cono Sud, La lampada di Aladino e L’ombra di quel che eravamo.
Appunte su una "moleskine".
Bene, eccoci qua, dico sottovoce, e un gabbiano si volta a guardarmi un istante. "Un altro matto," penserà il gabbiano, perché in realtà sono solo, davanti al mare, a Chonchi, un porto dell’Isola Grande di Chiloé, nell’estremo sud del mondo.
Aspetto che diano l’ordine di salire sul Colono, un traghetto verniciato di rosso e di bianco, che dopo vari decenni passati a navigare nel Mar Baltico, Mediterraneo e Adriatico, è venuto a galleggiare sulle fredde, profonde e imprevedibili acque australi.
Il Colono, dopo le preannunciate ventiquattr’ore di navigazione, che in realtà possono essere trenta o più, tutto dipende dai capricci del mare e dei venti, mi lascerà circa cinquecento miglia più a sud, in mezzo alla Patagonia cilena.
Mentre aspetto, penso a quei due vecchi gringo che hanno mosso i fragili fili del destino facendo sì che, un mezzogiorno d’inverno, Bruce Chatwin e io ci incontrassimo nel caffè Zurich, a Barcellona.
Un inglese e un cileno. E come se non bastasse, due tipi con scarso affetto per la parola "patria".
L’inglese, nomade perché non poteva essere altro, e il cileno esiliato per identiche ragioni. Dio mio! Qualcuno dovrebbe proibire questo genere di incontri, o per lo meno assicurarsi che non avvengano in presenza di minorenni.
L’appuntamento, organizzato dall’editore spagnolo di Bruce, era a mezzogiorno e arrivai perfettamente puntuale, ma a quanto pareva l’inglese mi aveva preceduto; si era accomodato davanti a un boccale di birra a leggere uno dei perversi fumetti di “El Víbora”. Per richiamare la sua attenzione detti qualche colpetto sul tavolo.
L’inglese sollevò il capo, e prima di parlare bevve un sorso.
“Un sudamericano puntuale riesco ancora a tollerarlo, ma un tizio che dopo aver vissuto anni in Germania viene al primo appuntamento senza portare dei fiori, è semplicemente insopportabile.”
“Se vuoi torno fra un quarto d’ora con un bel mazzo,” risposi.
Con un gesto indicò una sedia. Mi accomodai, accesi una sigaretta, e restammo a osservarci a vicenda senza dire una parola, con un atteggiamento canino, sì, molto canino e saggio. Che fanno due cani quando si incontrano per la prima volta? Non latrano, non uggiolano, non dicono nulla, si limitano ad annusarsi il posteriore, a volte fermi, altre girando. Non fanno che questo, annusarsi il posteriore senza pensare a contratti o a condizioni. Alla fine di quel rituale così semplice decidono se si attaccheranno, se ciascuno continuerà per la sua strada dimenticando l’altro o se, insieme, imboccheranno un sentiero che li porterà fino all’inferno.
Bruce e io facemmo esattamente la stessa cosa davanti a un tavolo del caffè Zurich, a Barcellona. Lui sapeva che io sapevo dei due gringo, e io sapevo che lui sapeva dei due gringo.
“Sei della Patagonia?” chiese Bruce.
Gli risposi che ero di un posto più a nord. Molto più a nord.
“Meglio. Non ci si può fidare nemmeno della quarta parte di quello che dicono i patagoni. Sono i più grandi bugiardi della terra,” commentò Bruce bevendo la sua birra. Mi sentii obbligato a ribattere.
“È che hanno imparato a mentire dagli inglesi. Conosci le bugie che Fitz Roy inventò al povero Jemmy Button?”
“Una per una,” rispose Bruce e mi offrì la mano. La cerimonia era terminata. Credo che ci sentimmo soddisfatti, e ci mettemmo a parlare di quei due vecchi gringo che forse, da qualche luogo ignorato dalle mappe, ci osservavano sorridendo, contenti di essere testimoni di quell’incontro che loro stessi avevano provocato.
Sono passati molti anni da quel mezzogiorno a Barcellona. Molti anni e alcune ore, perché in questo momento, mentre aspetto che gli scaricatori finiscano di portare a terra le merci dal Colono e autorizzino a salire a bordo, sono le tre del pomeriggio di un giorno di febbraio come quello. Ufficialmente è estate nel sud del mondo, ma sembra che il gelido vento del Pacifico non conceda la minima importanza al dettaglio, perché soffia con raffiche gelate che intorpidiscono fino alle ossa, e obbligano a cercare il calore dei ricordi.
Diavolo, Bruce! Perché non fai in modo che ci lascino salire a bordo prima che mi trasformi in un pinguino? O sei accanto a quei due vecchi gringo e ridi perché sto battendo i denti?
I due gringo a cui mi riferisco dedicarono gran parte della loro vita agli affari di banca che, come è noto, si possono affrontare in due modi: o facendo il banchiere o il rapinatore. I due gringo optarono per la seconda possibilità, perché, in quanto gringo, avevano nelle vene un puritanesimo che li faceva restare fermamente legati a certi principi etici, gli stessi che li obbligavano a dividere in fretta con altri la ricchezza ricavata dalle rapine. La divisero con attori di Baltimora, cantanti d’opera di New York, cuochi cinesi di San Francisco, prostitute color cioccolata dei bordelli di Kingston e dell’Avana, indovine e fattucchiere di La Paz, dubbi poeti di Santa Cruz, malinconiche poetesse di Buenos Aires e vedove di marinai di Punta Arenas, e finirono col finanziare rivoluzioni anarchiche in Patagonia e nella Terra del Fuoco. I genitori avevano dato loro due nomi, Robert Leroy Parker e Harry Langabaugh., ma ne ebbero molti altri: Mister Wilson e Mister Evans. Billy e Jack. Don Pedro e don José. Nelle infinite pianure delle leggende entrarono però come Butch Cassidy e Sundance Kid.
Ricordo tutto questo mentre aspetto, seduto su una botte di vino, davanti al mare, in un porto del sud del mondo, e prendo appunti su un taccuino con i fogli a quadretti che Bruce mi regalò proprio per questo viaggio. Non si tratta di un taccuino qualunque. È un pezzo da museo, un’autentica “moleskine”, apprezzatissima da scrittori come Céline e Hemingway, che ormai non si trova più nelle cartolerie. Bruce mi suggerì di fare come lui prima di usarla: numerare i fogli, annotare sul retro di copertina almeno due indirizzi nel mondo, e scrivere sulla prima pagina una promessa di ricompensa a chi restituirà il taccuino in caso di smarrimento. Quando sentii quel rituale, commentai che mi sembrava troppo inglese, e Bruce ribatté che proprio grazie a quel genere di precauzioni, gli inglesi conservano ancora oggi l’illusione di essere un impero; il nome dell’Inghilterra era scritto molto accuratamente nelle loro colonie, e quando le persero, in cambio di una piccola ricompensa economica, le recuperarono come parte del Commonwealth. I suoi argomenti mi convinsero e seguii le sue indicazioni.
Bruce mi spiegò che le "moleskine" uscivano dalle mani di un rilegatore artigiano di Tours, la cui famiglia le fabbricava fin dagli inizi del secolo, ma che dopo la morte dell’artigiano, nel 1986, nessuno dei suoi discendenti aveva voluto continuare la tradizione. Non bisogna lamentarsene. Sono le regole del gioco imposte da una pseudo modernità che giorno dopo giorno elimina riti, abitudini e dettagli di qualcosa che ben presto ricorderemo con nostalgia, e chiameremo vecchia cultura europea.
Quando Bruce seppe che le "moleskine" stavano per esaurirsi, comprò tutte quelle che trovò, ed è proprio su uno dei suoi taccuini che scrivo questi appunti, mentre una fila di camion carichi di patate, aglio, cipolle e botti di vino, inizia a salire a bordo del Colono . Una voce annuncia che salperemo "tra pochi minuti", e questo può significare pochi minuti o poche ore. Si sa, le ore sono composte da minuti.
Allora decido di interrompere il mio processo di congelamento e cerco riparo in uno dei bar che si affacciano sul porto.
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Bellissimo racconto!!!
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